Come musicista, vorrei scoprire ed esplorare nuovi territori musicali nei quali nessuno è mai stato. Vorrei che questi venissero apprezzati in quanto significativi e dotati di una bellezza sconosciuta. So che, realisticamente, ho meno di una possibilità su un milione di riuscirci, ma, come ogni esploratore, ciò che mi spinge a partire non è la meta, ma il viaggio stesso.
D’altra parte mi è capitato spesso durante un mio concerto di riconoscere l’emozione, talvolta anche molto intensa, sul volto di qualche spettatore. Magari si trattava di musica stilisticamente semplice, creativamente scontata, ma ricca di contenuto emotivo, del trasporto che avevo durante quel particolare ‘assolo’, della semplice comunicazione del mio stato d’animo in forma di suono.
Mi chiedo se sia giusto cercare di conciliare questi due poli: da un lato la ricerca artistica e l’appagamento individuale, dall’altro la comunicazione emotiva in un linguaggio comprensibile al pubblico.
Per alcuni artisti ciò non rappresenta un problema: essi seguono la propria indole, senza chiedersi quanto e cosa arrivi alle persone per le quali stanno suonando, poiché ritengono, giustamente, che l’arte non possa essere tale se non è libera. Per altri, ed io ne sono un esempio, è difficile non ricercare un’empatia con il contesto e con il pubblico nel quale e per il quale si sta suonando.
Sicuramente la creatività, la conoscenza e la genialità musicale, quello che potremmo definire ‘Intelligenza Musicale’, è qualcosa di meraviglioso, di imperdibile, a cui certamente non si può rinunciare solo per compiacere un pubblico affezionato. Questa ricerca risponde infatti al desiderio di progredire, di espandere i confini dell’arte e della bellezza individuale e collettiva e, in ultima analisi, di dare un senso alla musica.
Ma, d’altro canto, come privare un gruppo di amici del piacere di una semplice ed orribile canzone quando si è in grado di soddisfarli?
Certo, una cosa non esclude l’altra: una grigliata con gli amici non è come un vero concerto, ma talvolta la ricerca di un compromesso si insinua nella composizione dei brani, nel modo in cui si organizza la scaletta di un concerto, nella non eccessiva durata di un ‘assolo’ in una registrazione e in molti altri elementi che, messi tutti assieme, in qualche misura mirano a soddisfare un pubblico, una comunità di musicisti, le riviste di settore, gli organizzatori di determinati festival o forse più semplicemente, ma molto più significativamente, una persona che si ama.
Liberare la musica da tutto questo, fino a raggiungere la purezza delle proprie intenzioni artistiche è tutt’altro che semplice, almeno per me. E’ un processo molto lento che corrisponde alla mia crescita come persona; ma ho l’impressione che se mai sarò in grado di fare dell’arte, essa nascerà solo oltre i confini di questa libertà.
Forse quel giorno, e solo allora, sarò in grado di rinunciare proprio a questa nuova conquistata libertà, felicemente; riducendo consapevolmente le mie capacità musicali per restituire il dono della musica in una forma intellettualmente umile ma piena di amore e suonando orribili canzoni per chiunque ne abbia davvero bisogno.
E forse il destino dell’arte è tutto qui: oltre se stessa.