L’amore per la musica ha attraversato nella mia vita cinque fasi differenti, simili a cerchi concentrici che si espandono a partire da un centro. Ho notato che, sebbene la storia di ogni musicista sia diversa, questo percorso è comune e assomiglia ad un lungo viaggio che, paradossalmente, più si compie verso l’esterno, più si avvicina al centro.
I. La Magia
Per i bambini, o per chi non sa assolutamente nulla di musica, essa è qualcosa di compatto, unitario, che li avvolge interamente, senza che essi possano ben comprenderne il motivo. La musica è come una nuvola colorata che gira attorno e porta alcune persone in una sorta di estasi.
Da piccolo ho trascorso intere settimane in piedi davanti al giradischi delle mie vecchie zie, ascoltando la stessa canzone per ore ed ore – la sigla dello sceneggiato Quaranta giorni di libertà, intitolata Verde. Mi ricordo il piacere di quell’ascolto che mi affascinava, mi dava una sensazione di benessere, compiutezza, gioia, di cui non riuscivo a fare a meno. Dovevo semplicemente continuare ad ascoltare. La musica era una magia meravigliosa e, a dire il vero, non capivo bene perché le mie zie e i miei familiari non rimanessero ammutoliti come me a fissare il vinile ruotare nel giradischi.
Ecco, la maggior parte delle persone vive questo tipo di rapporto con la musica: che la amino intensamente o che la ascoltino distrattamente al bar, tra una chiacchiera ed un cappuccino, si tratta sempre di una nuvoletta colorata che si espande nell’aria. Chissà come funziona. Però è bella.
II. L’Esaltazione
Chi invece si cimenta con qualche strumento musicale entra nella musica in maniera fisica. Essa diventa un gesto, un’azione diretta. Fare la musica è qualcosa di così profondo ed intenso che produce generalmente un senso di esaltazione. Spesso questo si trasforma in una dimostrazione di destrezza, forza e velocità, magari un po’ adolescenziale; qualcosa da culturisti, insomma. E’ il momento della gioia, dell’entusiasmo e dell’esagerazione.
Io l’ho vissuta attorno ai dodici anni, la musica diventò un mezzo per dimostrare le mia capacità: sognavo di essere un chitarrista ammirato da tutti per l’incredibile tecnica e velocità. Ricordo che stavo davanti allo specchio a suonare per un pubblico tanto sterminato quanto immaginario, naturalmente in visibilio. Dormivo con la chitarra elettrica e la suonavo pure con i denti, perché i miei fratelli mi dicevano che Jimi Hendrix lo faceva e io non potevo essere da meno.
Questo è il periodo buono per diventare degli artisti, ma se accade è del tutto involontario, si capisce quando è già successo. Altrimenti, si continua a suonare coltivando l’amore per la musica con altre persone che la vivono nello stesso modo. Fortunatamente, le cantine sono piene di band che godono della loro consapevole, folle ingenuità!
III. Lo Studio
Se però all’amore si unisce la curiosità, si inizia a studiare. E’ lo stesso desiderio che porta un bambino a rompere il giocattolo per capirne il meccanismo. E il giocattolo è molto più complicato del previsto.
Assomiglia piuttosto ad una stanza con due o tre porte, aperte le quali ci si trova in altre stanze analoghe e da questa si arriva in altre ancora, finché si comprende che, in realtà, ci si trova in un palazzo immenso. Aprendo le finestre si scopre che ci sono dei sentieri che da esso portano in paesaggi sempre più aperti, dove si intravedono altri sentieri che portano chissà dove.
Il senso di smarrimento è pari alla gioia di scoprire. La fatica dello studio viene appagata dal piacere di maneggiare la materia sonora, di assaporare minuscoli dettagli, di apprezzare chi ci ha preceduto, di vivere lo stupore di una bellezza insolita e sconosciuta.
Studiare la musica è un’esperienza semplicemente meravigliosa.
IV. La Professione
Studiare è rassicurante. Sebbene il paesaggio sia sterminato, tutto rientra in un esercizio di qualche genere, dai contorni definiti; e dopo quell’esercizio ce n’è sempre un altro che ti aspetta. Puoi continuare all’infinito, c’è sempre una nuova stanza da aprire, un sentiero da percorrere. E, studiando, si rinvia il confronto con la realtà. Ma, fortunatamente, ci pensa la vita stessa a spingerci fuori dal guscio e così capita ad alcuni di diventare dei musicisti professionisti.
Quando la musica diventò il mio mestiere avevo vent’anni. Lavorando, ho scoperto molto di me stesso e del mondo, perché la musica apre letteralmente ogni porta: ho suonato per le feste esclusive dei più ricchi tra i ricchi e per i ragazzi che stavano nelle case fatte con mattoni di fango in Burundi; ho suonato davanti ad una folla di centomila persone e davanti ad una sola (il pizzaiolo); ho suonato ‘The Black Page’ di Frank Zappa e ‘Io Vagabondo’ dei Nomadi; ho fatto concerti nel soggiorno di casa mia e in mezzo alla Russia; ho suonato ai festival di musica classica in Svizzera e a quelli di musica jazz in Albania; ho suonato con musicisti di Vienna e di Calcutta, nei locali di Belo Horizonte e di Oslo. Questo mestiere mi ha dato uno sguardo privilegiato sul mondo e sul mio modo di reagire ad esso.
Sono immensamente grato a Chi mi ha donato tutto questo.
Questa è la mia storia, quella di un musicista, come lo sono tante altre. Molti professionisti hanno avuto una storia simile alla mia. Ma forse, il senso di questi cerchi concentrici sta tutto nell’ultimo, il quinto.
V. Il Quinto Cerchio
Perché ho fatto questo viaggio? Cosa mi ha spinto dal centro verso l’esterno? Come nel salire una montagna lo sguardo si è fatto sempre più ampio e il punto di partenza sempre più lontano, nel tempo e nella memoria; i sentimenti e i pensieri si sono arrampicati per vie impervie e sconosciute. Oggi sono così diverso rispetto a quando sono partito…
Eppure sento che il senso di tutto ciò ha a che fare con il vivere l’intero viaggio in ogni istante. Come posso sperare che la musica mi riveli il suo senso senza godere della magia che prova un bambino davanti ad essa? Senza l’incosciente esagerazione di uno spirito artistico? Senza la dedizione e la passione per il suo studio? Senza l’esperienza e la concretezza di chi ne ha fatto il proprio mestiere?
Forse questi cerchi non sono altro che un immenso giardino con un corso d’acqua che parte dal suo centro: le piante più vicine ad esso sono le prime ad essere irrigate, ma le più lontane hanno bisogno di un grande fiume per poter crescere rigogliose. Cos’è questo fiume? Per me rappresenta la ricerca della libertà e della verità su me stesso attraverso la bellezza della musica.