1.
Inizio con l’idea di un pedale ritmico piuttosto complesso sul Mi basso.
In automatico sovrappongo alcune triadi tradizionali con altre quartali, spostandole cromaticamente alla maniera del pianista McCoy Tyner; in realtà non ho mai studiato approfonditamente i suoi voicing, ma li ho assorbiti ascoltando la musica del Miles Davis elettrico e anche quella di alcuni chitarristi, in particolare John Scofield.
Poi, sempre in automatico, a 27” ci metto un tema e la cosa assume una sua forma, tipica della musica fusion degli anni Novanta. Musica che trovo molto scontata, con tanto di modulazione funk dopo 1’01”.
In generale nulla di male (a parte il Fa#m7 a 40” e 57” che mi urta moltissimo per la sua banalità), ma nulla di nuovo. Provo noia.
2.
Comunque l’unico modo che conosco per comporre è quello di perseverare anche davanti ad un’idea non particolarmente brillante, e così proseguo sviluppando solamente l’introduzione: aggiungo il contrabbasso e uno shaker; inoltre suono la sequenza ritmica con due chitarre stoppate, di cui l’una su un bicordo di Mi5 e l’altra su quello di La5. I due intervalli sovrapposti formano un Misus7. Aggiungo pure qualche armonico.
3.
Da qui, senza particolare entusiasmo, penso di inserire un tema, qualcosa di diverso dal pedale, un’apertura che abbia una sequenza armonica in movimento. Decido quindi di abbandonare il tema precedentemente creato e di idearne uno nuovo su un nuovo giro di accordi; lo metto in ciclo tre volte per sentire come gira.
Il risultato è una sorta di flamenco pop in 7/8, con un po’ di accordi tonali in Mi minore. Ottimo per una sangria a bordo spiaggia, ma mi ricorda Ottmar Liebert e la colonna sonora del film ‘Il Ciclone‘ e questo non mi fa particolarmente piacere. Lo shaker è mixato troppo alto.
4.
Ecco il motivo per cui ho smesso di comporre musica da qualche anno: il risultato è tendenzialmente insignificante. Si può genericamente definire ‘bello‘ in quanto ricalca tipi di bellezza che già si conoscono e funzionano, ma essendo insignificante, non è bello, perché, per come la vedo io, se la bellezza di un’opera d’arte non è, almeno in parte, sconosciuta, non è tale: manca di stupore, di meraviglia, di verità: quella che deriva dalla ricerca di se stessi. Certo, talvolta il quotidiano è stupefacente, ma molto di rado. Magari è emozionante, pieno di affetto, di amore, ma se non stimola anche la mia sfera intellettuale, tramite lo stupore, risulta monco e mi annoia. Il quotidiano deve sempre essere avvolto da un senso di ricerca incessante, per essere stupefacente.
Dunque cosa fare? Mentre seguo questo flusso penso di farne un diario online, per dare forma compiuta a questi pensieri e così decifrarli per capire una volta per tutte se sono davvero un musicista oppure no. Forse, condividendolo, altre persone potranno aiutarmi, dirmi se sono sulla strada giusta o no; farmi capire con i loro pensieri cosa sia la musica, il comporre. Non lo so. Forse no, forse il parere degli altri riguardo il mio processo creativo non è poi così importante.
In fondo è solo una ricerca personale su una visione estetica, sulla creazione di un mondo sonoro in cui riflettermi. Sarà poi mai possibile? Avrò mai il talento per questo o dovrò rassegnarmi a fare musica usando la bellezza che già conosco, annoiandomi?
5.
Nella casa in cui abito ora c’è una bella stufa. Ho acceso il fuoco, ho spento il computer e ho riascoltato la sequenza armonica. Forse tornando alla radice dell’idea mi si chiarirà meglio il suo significato.
Il suono della chitarra, la semplicità. Dalla tonica scendo di una terza e salgo di una seconda, e così via verso la dominante per poi risolvere, tutto qui. Cos’altro serve per essere musicisti felici? Il fuoco arde, ci canto sopra.
6.
Ho raddoppiato la durata, ora le battute sono sedici. Le seconde otto si spostano in Mi maggiore, la scala parallela a Mi minore. Mi piace lo sviluppo della melodia, è naturale ma non è troppo scontato. Ha qualcosa di Milton Nascimento, che ho ascoltato stamattina.
7.
La melodia mi piace. Certo, una rassicurante melodia diatonica suonata da uno strumento acustico, ma non è banale scrivere una melodia forte. E questa non mi pare debole, tenendo conto che è pure in 7/8.
8.
Decido di semplificare ulteriormente e tolgo la dominante secondaria in primo rivolto sulla sottotonica (il secondo accordo), teniamo un VI grado. Pulito. Mi viene in mente un madrigale, qualcosa di cinquecentesco, John Dowland, la poesia del quotidiano, appunto. Ciò che conta è oltre la forma, nell’essenza del suono, nell’emozione; l’armonia, i rapporti numerici non contano nulla.
9.
Ma non è vero, purtroppo. La musica si ascolta anche con la testa, non solo con il cuore o con il corpo. Ascoltare musica è un’esperienza globale dell’individuo e come tale una composizione deve rifletterne l’unità e non enfatizzarne solo le qualità più naturali, quali la fisicità e l’emotività.
E quindi rimbocchiamoci le mani e cominciamo a giocare a sudoku con questa melodia. Iniziamo con un po’ di triadi su basso. Ho piegato una nota della melodia per adeguarmi ai nuovi accordi e ora sembra una bossa elaborata, tipo Toninho Horta.
10.
Vabbe’, ne faccio un’altra. Vediamo se mi dice qualcosa.
Niente, è il solito gioco di Lego da jazzisti: si prende una melodia e sotto ci metti qualunque cosa possibile, basta tenere un minimo di senso nella linea di basso e suona subito ‘moderno’. E invece è sempre la solita cosa, trita e ritrita, basata sui soliti cliché. Comincio a disperare.
11.
Liberiamo la mente. Abbandoniamo tutto e lasciamo andare le mani a caso sulla tastiera, facendo attenzione a suonare una nota alla volta e non accordi. Una specie di contrappunto atonale, vediamo che succede.
Ah, finalmente un po’ d’aria fresca, un po’ di libertà. Non ci ho capito nulla e va bene così, ho sentito emozione e mi sembrava di muovermi in un bosco alla ricerca del sentiero e intanto vedevo piante, cortecce, terriccio, qualche animale.
12.
Come posso far parlare questo strano mondo con quella melodia? E’ possibile bere una sangria in mezzo al bosco tra gli scoiattoli? Intanto cominciamo con il definirlo meglio ritmicamente, mettendolo in 4/4 e tenendo vagamente in testa la melodia.
13.
Vediamo meglio che accordi sono usciti. Mentre li suonavo non ne sapevo il nome, vedevo solo i disegni e le geometrie sulla tastiera. Allora, sono Labm7, Do7, Fa#°7/b13, Fa°7/b13, Do#7+/#9, A/Bb, Ab+, Bb+. Roba da mal di testa, eppure a me suonano bene.
14.
Proviamo a metterli assieme alla melodia e vediamo che succede. Per farlo devo necessariamente piegarne un paio in giù di un semitono; la nuova sequenza è quindi Labm7, Do7, Fa#°7/b13, Fa°7/b13, Do7+/#9, Ab/A, Ab+, Bb+.
Non so come sia possibile ma pare che funzioni. Eppure sono accordi molto strani e non derivano da alcun ragionamento. Ottimo.
15.
A questo punto mettiamoci pure il contrabbasso, spostiamo in 7/8 e arpeggiamo un po’ l’accompagnamento. E poi, nella ripetizione, proviamo ad inventare una linea di chitarre che scendono cromaticamente
16.
E’ tempo di rimettere lo shaker e la prima cosa che butto lì mi dà da pensare un sacco.
Cos’è?! A tutti gli effetti pare un 5 su 7. Possibile? Non è esattamente una passeggiata. Ma perché mi è venuta così facilmente una cosa così complessa? Devo indagare.
Dopo un po’ realizzo che volendo dare un senso di ‘terzina’ al 7/8 si può dividere in una terzina su due quarti e una duina sugli ultimi 3/8. Le note di terzina durano 1.33 (4/3), mentre quelle di duina 1.5 (3/2). Il margine di errore rispetto a 1.4, ovvero 7/5, cioè il nostro 5 su 7, è minimo: 0.07 e 0.1 che alla velocità a cui ci troviamo, 156 bpm, diventano circa 3 centesimi di secondo.
A dire il vero la differenza c’è e si sente. Faccio delle prove per evidenziarla.
La cosa che però mi disorienta è che analizzando la mia registrazione, effettivamente ho suonato un 5 su 7 e non terzina e duina. E in effetti quando provo a suonarlo sulla tastiera viene una quintina, quella che ho caricato qui sopra, nel primo file. Stento a crederci.
Il fatto è che, per la mente, ogni numero primo — sia esso in una forma ritmica, come in questo caso, o in un rapporto armonico, come in un intervallo di undicesima aumentata — è come un panino che va mangiato in un unico boccone. Ci vuole la bocca larga.
17.
Ad ogni modo tutto questo, musicalmente, non mi piace, è inutilmente complesso, direi fuori luogo, almeno per ora. Magari poi riprenderò l’idea ma adesso cancello questo benedetto shaker ringraziandolo della scorribanda matematica e cerco qualcosa di più organico. Terriccio, muschio, lumache e scoiattoli.
Più che terriccio mi sembra un serpente a sonagli. Nella ripetizione ci metto pure un legnetto. Ho la netta sensazione che presto abbandonerò entrambi, banali cliché da world music anni Novanta, comunque intanto teniamoli lì, non possono dare troppo fastidio. Per ora.
18.
E quella discesa cromatica si potrebbe dare ad un flauto. Ma questo non scende sotto il Do centrale, dunque meglio affidargli le note superiori, quegli intervalli di quarta.
19.
Ok, e quindi? Cosa me ne faccio di queste otto battute sospese nel vuoto, senza origine e destino? Potrei sviluppare la seconda parte della melodia, quella al punto 7; e poi potrei raccordarla al pedale di Mi iniziale, rivisitato alla luce di questo approccio basato su improvvisazioni atonali cristallizzate.
No. In fondo questo mondo sonoro è ancora molto consueto, al punto che tutti quegli accordi strani per me suonano come un giro di Do. Il fatto è che ho scardinato le basi armoniche, ma la melodia e il ritmo rimangono estremamente tradizionali, così come l’ambiente timbrico.
Prima di muovermi sullo sviluppo dell’idea voglio tentare di esplorare nuove soluzioni ritmiche e timbriche. La melodia rimarrà così, semplice. Non posso modificarla senza snaturarla. Magari potrei piegare un po’ di note, ma in fondo non cambierebbe molto. Vedremo.
Dunque il ritmo. Qui abbiamo ottobattute che si possono scrivere come una parola unica, tanto sono abusate. Sia per il numero, otto, che per l’oggetto, la battuta. Il buon Carlo mi diceva che la musica andrebbe suonata in ‘uni‘, non in battute formate da tot movimenti ciascuna. La pulsazione deve rimanere, lo desidero; è fondamentale per la percezione corporea della musica alla quale non voglio rinunciare, così come in precedenza è stato per quella intellettuale.
Quindi risuono la melodia mantenendo la pulsazione, ma liberandola dallo schema metrico di sette movimenti. Quando vado nel bosco non vedo pattern che si ripetono sempre uguali, vedo infinite mutazioni dello stesso tema, si tratti di tronchi d’albero o foglie. Così deve essere il ritmo. Proviamoci.
Dopo un tentativo disastroso in cui tento di sovrapporre la melodia ad un’idea sviluppata di testa con metronomo e computer, riprendo l’idea di sviluppare tutto più spontaneamente con voce e chitarra; il risultato è più veloce e migliore, anche se non ancora accettabile.
Sistemo un po’ l’idea e la ripropongo nell’arrangiamento del punto 18.
Ne esce una serie sempre di ottobattute, ma compresse e allungate; la serie di quarti è 5 7 6 7 6 7 6 6. La trovo un po’ macchinosa, ma non voglio abbandonarla: c’è qualcosa di bello, come certe ragazze con la fessura tra gli incisivi. A me piacciono.
Questo ambiente mi ricorda gli innumerevoli pomeriggi trascorsi con Phil Drummy e Arup Kanti Das, tanto tempo fa, quando alternavamo metriche diverse usualmente. Affiorano tanti ricordi: spezie e lenticchie, pasta al pesto, dormire dove capita, suonare per strada, ridere tanto assieme.
20.
Vediamo se ora riesco a far scorrere tutto un po’ meglio risuonandolo con più di dimestichezza, ora che ci conosciamo, e abbandonando le idee nate in un contesto ormai troppo diverso, come la linea di flauto e la discesa cromatica delle altre due chitarre.
Ho anche accelerato un po’ il ritmo, per ridargli un minimo di tono. Ho doppiato il tema con un glockenspiel, che trovo già stucchevole, e ho messo un paio di shaker, uno più sottile e un altro più granuloso.
Ho rivisto la sequenza ritmica, forse è più corretta così: 5/8, 7/8, 3/4, 7/8, 3/4, 4/4, 3/4, 3/4. Ecco la versione con metronomo:
21.
Ok, l’armonia non è banale, il ritmo nemmeno, ma tutto suona estremamente semplice e abbastanza patinato. È quindi giunta l’ora di mettere mano da un lato al timbro e dall’altro all’arrangiamento.
In fondo l’ensemble è lo stesso di settant’anni fa, ovvero il combo, quello del jazz di Charlie Parker negli anni 50′: batteria (nel mio caso un paio di shaker), contrabbasso, uno strumento armonico (pianoforte o chitarra) e uno che fa la melodia. Funzionava così bene che è poi stato ampiamente utilizzato in tutti i generi pop e rock successivi: in fondo il suono dei Police o degli Who si basa sullo stesso principio; il concetto è quello di affidare uno strumento ad ogni parametro musicale fondamentale – ritmo, armonia e melodia – e aggiungere a questi un basso.
Mi piacerebbe esplorare altre possibilità. Dal momento che i parametri basilari della musica rimangono quelli, immagino che una variazione sarà possibile raddoppiando gli strumenti su uno, eliminandoli su un altro, affidando allo strumento armonico il ritmo e a quello melodico il ritmo, ecc. Vediamo che succede.
Ho cercato di creare un ‘armonia ritmica’ e quindi la figura con cui si suonano gli accordi assomiglia a quella che potrebbe avere un piatto di batteria; lo stesso accade al basso elettrico, inserito al posto del contrabbasso. Questo è stato doppiato all’ottava superiore da due tracce di chitarra a dodici corde.
Ho poi reso armonica la melodia, comprimendola verticalmente e arpeggiando sempre con la dodici corde gli accordi da essa derivati.
Agli shaker ho aggiunto un legnetto che fa un poliritmo in 3/8. Per pura fortuna, queste otto battute sono formate da 51 ottavi e sono quindi divisibili per 3: dopo 17 volte si chiude il ciclo.
22.
Sì, comincia a piacermi. Quello che davvero non mi spiego è perché con tutta questa complessità, continua a suonarmi nelle orecchie come un brano di Eros Ramazzotti. Non che mi dispiaccia, la semplicità intendo, ma mi stupisce che non affiori alcuno spigolo; eppure le pareti rocciose e aspre sono splendide. Vabbè, ci penserò dopo.
È chiaro che tutto questo è uno splendido gioco il cui fine non è la composizione di un brano ma l’esplorazione di me stesso. Questa è l’arte. E quindi per favorire questo spirito ludico mi sono costruito delle carte per esercitarmi sul cambio di ruolo nei parametri base. Per intanto ho usato solo queste tre, le più facili:
Ma ne ho molte altre e voglio provare ad usarle. Ad esempio trovo molto intriganti queste due, su cui mi voglio misurare ora:
È chiaro che è un po’ difficile fare accordi o melodie con le percussioni, a meno che queste non siano percussioni melodiche, come una marimba, un vibrafono o una celesta, ma non è questo che intendevo. Devo trovare un altro modo di rendere il concetto, seguendo l’intuizione. Dovrei creare una scala di note indeterminate che mimino una scala melodica e con quelle fare accordi e melodia. Ci riuscirò?