Nel post precedente riconoscevo ampiamente il valore dell’improvvisazione, pratica che amo. Tuttavia oggi desidero mettere in luce i limiti che essa presenta per il mio percorso artistico.
Il Culto dell’Individuo
Al contrario dell’improvvisazione ritmica, l’improvvisazione melodica o armonica è quasi sempre un atto individuale.
In alcuni generi – ad esempio il jazz, il blues, il flamenco, la musica classica indiana o quella di molti altri paesi – il gruppo si divide tra solista e accompagnatori. A questi ultimi viene concesso spesso un ampio margine di libertà ritmica, ma un basso livello di libertà melodica o armonica; inoltre il volume di un accompagnatore non deve mai offuscare il ruolo dello strumento principale.
In altri casi l’improvvisatore suona direttamente da solo. Alcuni esempi sono l’improvvisazione su strumenti a tastiera, presente sia nella musica barocca che nel jazz – ad esempio il celebre Koln Concert di Jarrett – ma anche nell’accompagnamento pianistico dei film muti all’inizio del ventesimo secolo, oppure nelle cadenze conclusive presenti in alcune composizioni classiche.
Non è un caso che l’improvvisazione melodica collettiva si collochi invece attorno a due estremi: da un lato un livello minimo di complessità, un esempio ne è il dixieland nato agli albori del jazz; dall’altro il massimo grado di libertà e di assenza di regole, come nel free jazz. Di fatto, in entrambi i casi, la costruzione di una complessa architettura melodica collettiva viene evitata in favore di un intreccio piuttosto semplice oppure di una libertà viscerale e istintiva.
Siamo singoli individui e per dare vita a qualcosa di unitario e complesso allo stesso tempo, abbiamo bisogno di poter riavvolgere il tempo. In questo senso l’improvvisazione è solo uno strumento, come lo è stato per Bach: la sua musica è la celebrazione dell’arte del contrappunto, ovvero dell’intreccio armonico tra più voci differenti; al contrario di ciò che accade nelle parti improvvisate in cui si subisce quasi sempre la dittatura del solista.
La Prigione degli Accordi
La natura stessa dell’improvvisazione richiede una forma armonica conosciuta dal solista, su cui egli possa inventare le proprie idee in modo fluido. Perciò i brani si fondano su sequenze di accordi intesi come unità verticali che è possibile modificare solo parzialmente e che assomigliano a mattoni rigidi e saldamente ancorati.
Per quanto tutto ciò sia stato portato a livelli di grande complessità, l’armonia degli improvvisatori è comunque una forma semplificata che riporta gran parte della musica improvvisata ad essere modale (un accordo solo), tonale (una sequenza di accordi nei quali uno rappresenta il centro di gravità), polimodale (una sequenza di accordi senza centro di gravità).
Ciò significa non poter improvvisare su architetture melodiche realmente complesse come una polifonia su un contesto politonale o atonale. Per intenderci, è davvero complesso improvvisare sul Mandarino Meraviglioso di Bela Bartok.
L’improvvisazione sembra quindi essere relegata ad uno schema di accordi, non ad un fascio di suoni che interagiscono in modo dialettico tra loro.
Il Rischio Calcolato
Ogni solista sa fin dove può spingersi, sia in termini tecnici che nella scelta delle note. Nel momento in cui deve scegliere cosa suonare decide di commisurare il rischio con le proprie capacità, limitando la difficoltà tecnica oppure la stessa costruzione melodica della frase.
Al contrario, nella letteratura musicale classica sono presenti molti passaggi in cui il grado tecnico richiesto è raggiungibile solo dopo ore di esercizio specifico poiché sarebbe impensabile improvvisarli sull’istante e farlo senza alcuna sbavatura al primo colpo.
Lo stesso accade per la qualità dell’idea melodica. La densità creativa contenuta in essa non supera mai un certo livello, diventa piuttosto un linguaggio specifico dell’improvvisatore che, come accade nel linguaggio verbale, ha le sue frasi preferite, i suoi modi di dire, le sue espressioni tipiche, frutto di una creatività ormai passata.
In genere nell’improvvisazione si ha quindi o una grande creatività a bassa intensità tecnica, oppure il contrario, come accade quando alcuni virtuosi stupiscono il pubblico per la loro destrezza ma annoiano chi cerca un vero stupore creativo.
Umana Troppo Umana
L’improvvisazione perfetta non esiste. Gli umani sono limitati: solo Dio improvvisa perfettamente, anche se forse ognuno di noi riesce a sentire solo la propria singola nota.
La capacità di un improvvisatore è fluttuante, e la qualità dell’improvvisazione varia con essa. Nella mia personale esperienza solo il dieci per cento di un concerto improvvisato è davvero bello, intenso e indimenticabile. Il resto è, nel migliore dei casi, un grande divertimento; nel peggiore, un’inutile routine.
La Volpe e L’Uva
Spesso alcuni improvvisatori si esercitano nella Retorica dell’Errore, in cui nulla è sbagliato, e l’errore viene giustificato come rappresentazione della limitata condizione dell’esistenza umana. A mio modo di vedere questo è spesso una semplice scorciatoia alla pigrizia, un abbassamento del significato della musica intesa come potenziale via di perfezione, un abbandonare la partita, spostando la meta più in basso.
Ogni improvvisazione contiene degli errori, delle imperfezioni, e ciò le conferisce un respiro vitale, ma è diverso abbandonarsi ad essi.