Nel tempo ho sviluppato l’idea che esistano tre diversi livelli tecnici tra i musicisti, simili a tre eroi della mia infanzia.
La Tecnica dell’Azione
‘Zorro è il più forte’, scrissi proprio così, con la mia calligrafia stentata su una piastrella del bagno dei miei genitori e tuttora, dopo trentacinque anni, la scritta è ancora lì, perché con perfida lungimiranza la ricoprii con un’abbondante mano di smalto per le unghie, affinché nel tempo non venisse cancellata. Zorro era per me decisamente il più forte ed io vivevo nella sua più totale ammirazione, girando per casa con un asciugamano al collo e tracciando zeta immaginarie ovunque.
Volendo descrivere Zorro con una sola parola, userei il verbo ‘vincere’ e questo è ciò che molti musicisti desiderano: vincere la sfida con la musica e con il proprio strumento – se non addirittura con gli altri musicisti – dimostrando a se stessi la propria capacità, espressa come precisione, pulizia del suono e velocità. Ciò che li affascina è la ricerca della perfezione intesa come massima efficienza e questo ha a che fare con l’idea che la musica si possa valutare con un criterio oggettivo nel quale la massima complessità eseguita con la massima precisione dà origine alla musica migliore. Tuttavia, se questo è vero per lo sport, in cui oggettivamente chi percorre una maratona nel tempo minore è migliore degli altri, non vale per la musica.
Nel tempo ho avuto molti studenti di questo tipo, generalmente persone molto efficienti e capaci, spesso imprenditori, per i quali lo studio della musica era necessariamente legato al raggiungimento di obiettivi specifici. A queste persone ho cercato di comunicare, pur rispettando la loro storia e la loro visione, che per entrare nella musica è necessario porsi l’obiettivo di non averne alcuno. Per alcuni è l’esercizio più difficile, ma un po’ alla volta, affrontando mille esercizi e toccando con mano che la musica è sconfinata e che ognuno deve solo viverla e non vincerla, provano finalmente un senso di pace nei suoi confronti: la premessa per suonare davvero bene.
Purtroppo questa forma di agonismo musicale presenta pericoli non trascurabili sia sul piano fisico – la quasi totalità degli studenti affetti da tendinite intendeva la musica in questo modo – sia sul piano psicologico: sono infatti molti i musicisti classici che hanno subito un esaurimento nervoso alla ricerca dell’esecuzione perfetta, poiché hanno lottato una vita intera contro un unico nemico, assolutamente invincibile: la sfida stessa.
Anche un certo pubblico, amante dell’efficienza tecnica, gioca la sua parte, poiché anch’esso viene vinto, rimanendo a bocca aperta davanti alle acrobazie di questi musicisti, e ne gioisce poiché vive il riflesso della potenza che essi sprigionano, sentendola un po’ come propria. I loro concerti hanno perciò un pubblico generalmente maschile, affascinato dalla musica intesa come ‘La Macchina Perfetta’.
Anche a me piace ciò che si può esprimere nella musica attraverso la potenza, perché amo l’energia, la vitalità e l’entusiasmo, ma quando la tecnica diviene il fine e non il mezzo risulta follemente ridicola. Il compositore russo Nikolaj Rimskij-Korsakov non avrebbe mai immaginato che il suo brano ‘Il volo del Calabrone’ potesse diventare terreno per uno scontro ai limiti dell’umano, una prova di dattilografia musicale estrema nella quale i concorrenti si sarebbero sfidati a colpi di video su Youtube sgretolando con orgoglio i tempi metronomici degli avversari. Pare che ad oggi il più veloce sia il chitarrista iraniano Vahid Iran Shahi con un’esecuzione a 350 bpm, pari a millequattrocento note al minuto, o, se preferisci, ventitré note al secondo.
È la Tecnica dell’Azione, la musica intesa come sport, e mi spiace che quando si dice ‘virtuoso’ la gente intenda un musicista di questo tipo, poiché la parola ‘virtù’ ha certamente un significato più alto.
La Tecnica della Conoscenza
Qualche anno dopo il periodo di Zorro, passai ad apprezzare molti eroi dei telefilm tra i quali Mac Gyver. In realtà gli episodi erano molto noiosi ed io e i miei coetanei, incollati alla TV, aspettavamo solo che il protagonista venisse imprigionato in qualche assurda situazione per vedere come si sarebbe liberato. Ciò accadeva nel modo più improbabile e geniale: per capirci, Mac Gyver era il tipo in grado di costruire un candelotto di dinamite in venti secondi utilizzando soltanto una matita, due lacci di scarpa, una lattina di Coca Cola e il suo inseparabile coltellino svizzero. Lui era l’eroe della Tecnica della Conoscenza, in quanto non usava mai la violenza o la forza ma solo ed esclusivamente l’intelligenza.
Il verbo che meglio lo descrive è liberarsi e molti musicisti ricercano proprio questo: conoscere ogni aspetto della musica in modo tale da affrontare con sicurezza ogni possibile contesto e permettendo alla loro creatività di correre libera, costruendo ritmi e melodie in contesti anche improvvisati. Questa tecnica è meno appariscente della prima, anche se la presuppone, poiché queste persone mettono in primo piano la loro libertà creativa, piuttosto che la manifestazione della propria potenza. Sono musicisti che possono costruire dal nulla edifici musicali spropositati, persone con un immenso talento sviluppato attraverso anni di studio e di dedizione alla musica. Generalmente il pubblico non si accorge delle loro capacità, anche se spesso sono dotati di una tecnica di tipo ‘Zorro’ di tutto rispetto. Il motivo è che la conoscenza è meno apprezzata della potenza.
Questi musicisti sono figli del nostro tempo. Un tempo nel quale la scienza è la religione più diffusa, alla quale si affidano timori e speranze e nella quale si ripone la fiducia per la soluzione di tutti i problemi. Essi intedono la musica come una sorta di equazione complicatissima risolvibile solo tramite lo studio, la ricerca, l’analisi, la razionalità. Sanno che vi deve essere anche una componente emotiva, ma questa risulta ‘addomesticata’, inscritta nell’equazione e, in ultima analisi, secondaria; tutto l’esatto contrario di ciò che accadeva negli anni Settanta, tempi ben più gloriosi per la musica e per l’arte in generale.
L’apoteosi di questa visione, direi ‘scientista‘, si ha in alcuni musicisti jazz i quali vivono la creazione delle proprie melodie come risoluzione di algoritmi complessi, dei quali si sforzano di essere totalmente consapevoli con un immenso dispendio di energia psichica e un risultato che a me pare estremamente arido. Per far capire a chi non suona, è un po’ come parlare in italiano facendo sempre l’analisi grammaticale di ogni frase mentre la si sta pronunciando. Eppure per moltissimi studenti di jazz l’improvvisazione è questo, poiché viene loro insegnata così ed il modo in cui è improntata la società di oggi, sul criterio di efficienza, conferma questa loro visione.
È l’arte come scienza e questi artisti rimangono imprigionati nella conoscenza: tutti questi suoni, costruiti e concatenati in modo così logico, finiscono per nasconderli alla vista di loro stessi, così come del loro pubblico.
La Tecnica dell’Imperfezione
Non tutti ricordano il nome del protagonista di Kung Fu, il telefilm interpretato da David Carradine e questo è già di per se molto significativo. Kwai Chang era forte e astuto, ma non faceva nulla per apparire tale. Girovagava nel West alla ricerca del fratello, vivendo di elemosina ed aiutando le persone che incontrava. Ciò lo portava in realtà a conoscere meglio se stesso – memorabili i flashback della sua gioventù trascorsa in Cina, nei quali riceveva insegnamenti di vita dal suo vecchio maestro zen. Kwai Chang era infatti contrario alla manifestazione della propria forza e della propria intelligenza, a meno che questo non fosse d’aiuto a qualcuno. In ogni episodio il suo principale nemico, suscitato da qualche cattivone, era in realtà un aspetto della propria personalità che egli doveva comprendere, accettare o, eventualmente, correggere. Il verbo che più gli si addice è quindi rivelarsi.
Quando un musicista, pur dotato di potenza e conoscenza, rinuncia ad esse per scoprire se stesso, mettendosi a nudo davanti al proprio pubblico, si rende vulnerabile, mostrando le proprie fragilità. È anche disposto ad accettare che il pubblico lo consideri un incapace, magari perché ritiene, erroneamente, che ciò che suona lo sappia fare anche un principiante, oppure perché il suo suono è primitivo e grezzo, perché vuole godere della libertà di essere imperfetto, perché desidera rivelare a se stesso e al suo pubblico la propria natura, fatta di meravigliosi, strabilianti difetti.
Paradossalmente è proprio in questo modo che alcune persone rimangono folgorate dalla sua auto-rivelazione e dal fatto stesso di esserne stati resi partecipi. È la tecnica che rinuncia a se stessa in favore della verità, è la Tecnica dell’Imperfezione.
Questo musicista si mostra decisamente più forte dei precedenti poiché per mettere a nudo le proprie debolezze e renderle pubbliche, gli è necessaria una forza superiore. Questo musicista è l’unico che non mente, né a se stesso, né agli altri ed è quindi il più vicino all’Arte. Questo musicista è quello che io ritengo essere un ‘virtuoso’.
Ma, se il pubblico in genere riconosce più facilmente la potenza rispetto alla conoscenza, raramente sa riconoscere la volontaria accettazione dell’imperfezione come un valore. Non a caso chiunque conosce Zorro, qualcuno conosce MacGyver e più o meno nessuno ricorda Kwai Chang Caine. Probabilmente più la tecnica è raffinata, più ci si innalza e meno si risulta visibili ad occhio nudo: servono allora cannocchiali, binocoli e telescopi, persone che con la loro musica ci facciano volare più in alto.